Sunstein su Nova24

Oggi su NOVA24, inserto del Sole24Ore, ho scritto quest’articolo su Cass Sunstein e rumors.

Cass Sunstein ha da tempo il pallino di internet, soprattutto dei danni che la rete potrebbe provocare alla democrazia. Nel 2001, in Republic.com metteva in guardia di fronte ai rischi che corrono sfera e opinione pubblica se i cittadini abbandonano i giornali a vantaggio di una dieta personalizzata  di notizie fatte di bit. Ora, in un libretto uscito in questi giorni negli Usa, Sunstein prende in considerazione un altro cyber-pericolo.
«Le dicerie – scrive  il giurista di Chicago – sono antiche quasi quanto la storia umana, ma con l’avvento di internet sono divenute anche ubique». Inventare falsità non si deve alla rete, certo, ma è grazie a essa che una calunnia può fare il giro del mondo.

On Rumors (Macmillan Publishers) è una fenomenologia tascabile che intende rispondere a due domande fondamentali: perché crediamo alle dicerie? come possiamo proteggerci da falsità che girano intorno al nostro conto?
La rete ha la forma di un immenso passaparola. Blog e social network possono essere propagatori istantanei e globali di maldicenze. Di link in link, di like in like, il ruscello diviene fiume inarrestabile. Pecora dopo pecora, il gregge si allarga fino a inglobare anche coloro, nota Sunstein, che dovrebbero avere strumenti critici per smontare una flasità. In fondo: se lo crede così tanta gente, possibile che questa voce non abbia un fondo di verità?

Colpa del web, dunque, se le malelingue trovano terreno fertile nell’opinione pubblica. Con l’abbattimento delle barriere e dei filtri, internet ha esposto gli individui al pericolo della diffamazione e alla difficoltà a contraddirla.
«Uno dei grandi rischi dell’era dei blogger e di YouTube – scrive Sunstein – è che le nostre affermazioni e azioni possono non solo essere archiviate per sempre ma anche controllate così da vicino che ognuna di esse può essere estrapolata dal contesto e scelta per rappresentare qualcosa di generale, magari di oscuro e allarmante».

“Obama amico dei terroristi”, “Obama musulmano” o ancora “Obama non americano”. Voci messe in giro ad arte e che con difficoltà sono state smontate dall’entourage del presidente nei mesi scorsi. Per ripulire la candidatura dalle scorie, gli spin doctor del futuro presidente hanno messo in piedi anche Fight the Smears, un sito per rispondere colpo su colpo alle calunnie.
Le dicerie si diffondono come un virus, e la medicina, nel mondo perfetto, dovrebbe essere la libertà d’espressione. Immettiamo la pseudo-notizia e la sua confutazione nel mercato delle news e alla fine il bene e il vero trionferanno. Sarebbe bello ma purtroppo, prosegue Sunstein, le cose non vanno così. Spesso le persone s’informano in un modo viziato (biased) e allora è difficile farle ricredere.

Una soluzione è possibile, ma certo non piacerà a molti. La rete ha trasformato il mercato delle informazioni ed è giunto il momento di prenderne atto e di correre ai ripari. Senza auspicare la censura, spiega Sunstein, ma introducendo alcuni meccanismi di «raffreddamento» (chilling) che possano combattere la propagazione virale delle dicerie. Per esempio, cancellando tutte le voci che sono dimostrate false.

Raffreddare non vuol dire censurare, certo. Però. Ogni mercato ha bisogno di standard e di regole di base; nessun mercato funziona in assoluta libertà. E se Obama poche settimane fa sollevava dei dubbi sulla capacità dei blog di sostituire i giornali, l’“Obama di Obama” (soprannome inventato dal Post) chiude il suo pamphlet sul gossip e sui modi per sconfiggerlo con una riflessione coraggiosa (azzardata?): «non è scontato che l’attuale sistema di regolamentazione per la libertà di parola sia quello che vorremmo o dovremmo scegliere per l’era di internet».

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